Giulia Mattioli
„ La vittoria di Trump è (anche) il trionfo del patriarcato“
„Trumps Sieg ist (auch) ein Triumph des Patriarchats“
La Repubblica: 6 Novembre 2024
„Der Sexismus ist nicht der einzige Grund, der die amerikanischen Wähler dazu veranlasste, Donald Trump Kamala Harris vorzuziehen, aber er spielte sicherlich eine entscheidende Rolle während des Wahlkampfes. Denn schließlich hätte eine Frau an der Macht die Vorherrschaft des Mannes (weiß) zur Diskussion gestellt.“
I
Das Wahlergebnis vom 6. November 2024, das Donald Trump zum neuen Präsidenten der USA gemacht hat, ist für Giulia Mattioli „(auch) ein Triumph des Patriarchats“. Mag dieses Wort für uns heute altmodisch klingen, so ist doch unabweisbar, dass sich mit Donald Trump eine neue Form männlicher Herrschaft etabliert hat, vielleicht die vulgärste, die es in der Moderne bisher gegeben hat. Gerade weil sie dieses Wort wählt, richtet Giulia Mattioli ihre Kritik nicht einseitig auf Sexismus – wie viele andere AutorIinnen – , sondern auf das Geschlechterverhältnis. Die Wahl signalisiert eine Machtverschiebung zwischen den Geschlechtern. Und dieses Ereignis betrifft uns alle, alle Frauen in der Welt.
In ihrem Artikel in der ‚La Repubblica online‘ vertritt Giulia Mattioli die These, dass sich hinter Sexismus und Frauenfeindlichkeit eine tiefgründige Angst des ‚weißen Mannes‘ vor einer Frau an der Macht zeigt, die die männliche Vorherrschaft ernsthaft ins Wanken hätte bringen können.
II
Die Autorin des Beitrags Giulia Mattioli ist Journalistin und seit langem Autorin für die La Repubblica mit dem Schwerpunkt Feminismus. Sie schreibt, dieses Ergebnis, dass ein Putschist, Antidemokrat, Lügner, Macho und mehrfach Verurteilter, ein Verächter der Frauen eine Wahl gegen eine integre, authentische, kompetente Frau gewinnt, darf nicht nicht kommuniziert und unkommentiert bleiben. Es ist ein Geschlechterkonflikt von außerordentlicher Brisanz. Nicht aus sachlichen Gründen, sondern weil sie eine Frau und Farbige ist, wurde Kamala Harris beleidigt und diskriminiert. Der gesamte Wahlkampf war frauenfeindlich, menschenverachtend, destruktiv und ordinär.
III
Den ‚Triumph des Patriarchats‘ sieht Giulia Mattioli in folgenden Punkten.
– Der neue Präsident propagiert die Einschränkung von Frauenrechten bezüglich ihres Körpers, ihrer Sexualität und ihrer Lebensweisen. Er wird Unterstützungsfonds für Frauen kürzen und Rechte auf die Wahl sexueller Identitäten einschränken..
– Jenseits aller Schamgrenzen äußert er seine Verachtung für Frauen. Er bekennt sich öffentlich zu Sexismus und Frauenfeindlichkeit. Er nannte seine Gegenkandidatin eine ‚bitch‘, eine ‚räudige Hündin‘ – ohne dafür zur Rechenschaft gezogen worden zu sein. Er beleidigt und belästigt Frauen und diffamiert damit grundsätzlich ihr Geschlecht-Sein.
– Diese Haltung eines extremen Machismus war Intention der offiziellen Wahlstrategie. Trump warnte vor einem Macht- und Kontroll-Verlust der Männer, ihrer Bedeutungslosigkeit in einer zukünftigen Gesellschaft und hat damit besonders junge Amerikaner angesprochen. Einem archaischen Muster folgend schürte er die Angst vor einer ‘starken‘ Frau.
– Der Triumph seines Sieges besteht aber vor allem darin, Frauen dazu bewegt zu haben, gegen sich selbst, ihre Würde und ihre Interessen, ihm ihre Stimmen zu geben, sie, die er als Geschlecht zutiefst verachtet. Es ist ein altes und so durchsichtiges Prinzip, durch Erniedrigung der Gegenseite sich selbst zu erhöhen.
– Aber zu Sexismus und Frauenfeindlichkeit kommt Giulia Mattioli zufolge noch ein weiterer Aspekt: Der Wahlsieg ist auch ein Wahlsieg der Technokraten, repräsentiert durch Männer wie Elon Musk, Peter Thiel und Jeff Bezos, die Trump großzügig finanziell unterstützt haben. Sie haben die Medien bereit gestellt, durch die der Wahlkampf Trumps breitenwirksam umgesetzt wurde, ohne dass die Geldgeber und ihre Interessen selber sichtbar und kommunizierbar wurden.
Es bleibt die Frage, wie konnte es geschehen, dass in einer modernen, demokratischen Gesellschaft eine weibliche Wählerschaft, die über die Mehrheit der Stimmen verfügt, ihre Unterstützung für eine Frau als erste Präsidentin der USA nicht durchsetzen konnte? Giulia Mattioli resümiert etwas resigniert, dass wir zur Kenntnis nehmen müssen, dass Frauen (weiter) Trägerinnen und Sympathisantinnen männlicher Werte sind.
IV
Das Wahlergebnis in den USA bedeutet eine Herausforderung für den politischen und theoretischen Feminismus weltweitt.
Der zentrale Gedanke des philosophischen Feminismus, dass das Schlüsselthema die Analyse des Geschlechterverhältnisses ist, nicht die Frau, das weibliche Geschlecht oder Geschlechtsidentität, ist in den letzten Jahren ins Abseits geraten.
Die Wahl Donald Trumps zum Präsidenten der USA zwingt zur Selbstreflexion und Selbstkritik. Wie konnte es zur politischen und sexuellen Selbstverleugnung von Frauen kommen? Was ist schief gelaufen in der feministischen Diskussion und Aktion?
V
Es ist widersinnig, dass in einer freien Gesellschaft Frauen ihren Unterdrücker selbst wählen. Aber bei aller Absurdität dieses Ereignisses sollte nicht übersehen werden, dass der Erfolg Donald Trumps ein Zeichen zutiefst verunsicherter Männlichkeit ist.
Giulia Mattioli
La vittoria di Trump è (anche) il trionfo del patriarcato
https://www. repubblica.it/moda-e-beauty/2024/11/6/sconfitta_harris_clinton_patriarcato_423601134
Il sessismo non è l’unica ragione che ha spinto l’elettorato americano a preferire Donald Trump a Kamala Harris, ma di sicuro ha giocato un ruolo fondamentale durante la campagna elettorale. Perché, in fondo, una donna al potere avrebbe messo in discussione la supremazia del maschio (bianco)
“Hanno preferito un golpista, antidemocratico, machista, pluricondannato ad una donna”. Commenti di questo tenore affollano oggi le pagine social di chi mai e poi mai avrebbe immaginato di vedere Donald Trump venire eletto per la seconda volta Presidente degli Stati Uniti. Un uomo che è stato processato per aver cercato di sovvertire i risultati delle scorse elezioni, che rilancia teorie complottiste e folli illazioni su immigrati e minoranze, ma soprattutto un uomo esplicitamente maschilista, pluri-accusato di molestie sessuali, un predatore dichiarato che ha fatto sì che il diritto all’aborto venisse abrogato. Trump vince per la seconda volta contro una candidata donna (prima di Kamala Harris, sconfisse Hillary Clinton alle elezioni del 2016), e, sebbene la contrapposizione di genere possa essere una lettura limitativa dello stato delle cose, in un momento storico in cui si parla tanto di empowerment, di colmare il divario di genere, di rompere soffitti di cristallo, di abbattere stereotipi e di autodeterminazione, la notizia non può non lasciare interdette.
Gli elettori hanno preferito lui, rappresentante eccelso del maschilismo, ad una candidata le cui posizioni, per quanto opinabili su una lunga lista di tematiche (in questo momento, la questione palestinese ha pesato sull’appoggio della sinistra a Harris, così come l’approccio smaccatamente neoliberista), perlomeno non sarebbero state in contrapposizione alla libertà delle donne. Al contrario, avrebbero rappresentato una forte presa di posizione contro una società talmente patriarcale da non aver ancora visto una donna in una posizione di comando.
I diritti delle donne sempre più in pericolo
Invece, si è preferito votare un uomo che ha tolto diritti alle donne, colui che è al vertice di quella catena di responsabilità che ha portato le americane a ricominciare a soffrire e nel peggiore dei casi a morire (al momento sono stati accertati quattro decessi) a causa di gravidanze non desiderate o complicate, in seguito all’abrogazione della Roe vs Wade, la lagge che garantiva il diritto all’aborto. Non a caso, in piena campagna elettorale l’American College of Obstetricians and Gynecologists ha diramato un comunicato che recita: “Non c’è alcun dubbio che i divieti di aborto impediscano ai ginecologi e ai medici di assistere con cure adeguate le loro pazienti, e queste pazienti così come le loro famiglie sono destinate a pagarne le conseguenze”.
Come se ciò non bastasse, dagli anni Ottanta a oggi Donald Trump è stato accusato da decine di donne di molestie. È stato dichiarato colpevole di diffamazione ai danni di Jean Carroll, scrittrice che lo ha pubblicamente accusato di stupro e che lui più di una volta ha definito “una fuori di testa”, come da manuale del maschio alfa che si difende dall’accusa di essere un molestatore. “Quello che è successo è molto, molto grave”, afferma la scrittrice Giulia Blasi. “Trump è stato giudicato colpevole di stupro, sebbene in un processo civile. Siamo passati in pochi anni da un paese che pretendeva le dimissioni se avevi un’amante (qualcosa che avviene tra adulti consenzienti) a un paese che vota per uno stupratore”. Trump è un personaggio che le donne dovrebbero essere naturalmente inclini a detestare. E invece, ancora una volta, trionfa, votato anche dall’elettorato femminile.
Trump e gli insulti sessisti
Indiscusso rappresentante di una visione profondamente machista del mondo (tristemente celebre è il suo “Grab ‘em by the pussy” riferito alle donne che, secondo lui, da uno ricco e famoso si lasciano “afferrare dalla vagina”), il neo-eletto presidente degli Stati Uniti ha utilizzato un linguaggio sessista durante tutta la campagna elettorale ogni qual volta si riferiva a Kamala Harris. In uno degli ultimi rally ha persino definito l’avversaria una “bitch”, con tanto di boato di approvazione del pubblico, sdoganando definitivamente l’insulto sessista per antonomasia, che in un’altra epoca politica sarebbe stato impensabile da pronunciare pubblicamente. Questi toni, anziché ostacolare la sua rielezione, l’hanno favorita, perché parlano ad un elettorato che vede il proprio privilegio vacillare. “Il machismo è stato un grande protagonista di questa campagna elettorale”, riflette Francesca Cavallo, scrittrice, imprenditrice e attivista. “Il genere è stato protagonista di questa campagna più di quanto fosse mai accaduto. Trump ha puntato moltissimo sul senso di perdita di potere, di rilevanza degli uomini, e soprattutto dei giovani uomini americani. Ha fatto una campagna che si è poggiata molto sulla tessitura di relazioni con gli youtuber e i podcaster più noti, con seguiti da milioni di followers, contigui a quella che viene chiamata manosfera, cioè quella porzione di internet che spesso produce contenuti misogini e sessisti, non di rado anche razzisti”.
Ma è proprio a questa porzione di elettorato, i giovani uomini, che forse, osserva l’autrice, i democratici avrebbero dovuto prestare più attenzione. “C’è da fare un po’ di auto-analisi e rendersi conto del fatto che i dem negli ultimi anni non sono riusciti a catturare l’inquietudine dei giovani elettori e offrire una proposta alternativa. È sembrato quasi che non si potesse parlare del fatto che c’è un malessere diffuso tra tanti giovani americani che magari non appartengono alle classi alte, ma a quelle medie e basse, i quali si sono sentiti traditi dal partito democratico. Anche Michelle Obama in uno dei suoi ultimi discorsi si è rivolta agli uomini, proponendo loro di votare per proteggere le donne, però alla fine ognuno vota per proteggere sé stesso. Per cui, se senti che per te non c’è spazio, che non c’è spazio neanche per discutere delle tue esigenze, credo sia ovvio che voti dall’altra parte. È un tema con cui in generale tutti i partiti progressisti devono fare i conti”.
Secondo Giulia Blasi è indubbio che sessismo e misoginia abbiano avuto un peso nel risultato elettorale, ma non bastano a spiegare la vittoria di Donald Trump. A caldo, la scrittrice commenta così: “Dobbiamo evitare di dare delle letture affrettate. Non penso ci sia una sola ragione dietro alla sua vittoria, sono tante le cose che hanno contribuito. È successo qualcosa in America, però è presto per definire cosa. Sono tanti gli aspetti da considerare. Sicuramente c’è stata una diffusa e capillare radicalizzazione dei giovani maschi. E forse le donne bianche non hanno sostenuto sufficientemente Kamala Harris. Ma non basta questo a spiegare la vittoria di Trump. Anche perché le donne sono comunque andate a votare in maggioranza. Non dico che la misoginia sia irrilevante, ma penso che quello a cui stiamo assistendo non sia solo il trionfo di un uomo anziano su una donna più giovane, ma la vittoria di un culto distruttivo, la vittoria dei tecnocrati, di Elon Musk, di Peter Thiel, di Jeff Bezos, di tutti questi uomini multimilionari che hanno deciso deliberatamente di appoggiare un piano per prendersi il paese e instaurare una sorta di oligarchia in cui comandano loro”.
Il sessismo non è forse l’unica ragione che ha spinto l’elettorato americano a preferire Donald Trump a Kamala Harris, ma di sicuro ha giocato un ruolo fondamentale durante la campagna elettorale (così come durante quella contro Hillary Clinton, anche se allora c’era l’attenuante di non avere ancora visto Trump all’opera alla Casa Bianca). Perché, in fondo, una donna al potere, e per di più una donna nera, avrebbe messo in discussione la supremazia del maschio (ovviamente etero e bianco) facendo tremare il terreno sotto i piedi ad una società patriarcale pronta a tutto pur di difendere il proprio privilegio. In fondo, l’unico che lo ha sconfitto alle urne finora è stato Joe Biden, un candidato dalle solide credenziali ma con posizioni in tutto e per tutto aderenti a quelle di Kamala Harris, sua vice. Ma Joe Biden aveva una carta in suo favore: essere un uomo. Elon Musk, che si è prodigato molto per queste elezioni, era già pronto alla chiamata alle armi in caso di vittoria di Harris: meglio la guerra civile a una donna progressista al comando. E così devono aver pensato in molti elettori. Ed elettrici, perché sappiamo che anche le donne possono essere portatrici sane di valori patriarcali.
11/2024